Confronto sui modelli vincenti di raccolta differenziata
Le buone prassi di due comuni da prendere ad esempio per rendere più efficiente la gestione dei rifiuti solidi urbani in provincia di Ragusa, al centro del convegno promosso dall’assessorato provinciale al Territorio ed Ambiente e dal circolo “Il Carrubo†di Legambiente.
Il convegno ha voluto mettere a confronto le esperienze dei comuni di Villafranca d’Asti (Asti) e di Mercato San Severino (Salerno) per prendere atto che “la raccolta differenziata è la base di partenza per affrontare l’emergenza rifiutiâ€. Ad apertura dei lavori l’assessore Salvo Mallia ha posto l’accento sul ruolo della Provincia per “creare una nuova cultura di gestione dei rifiutiâ€. “Anche se non abbiamo una competenza diretta – ha detto Mallia – ci è sembrato opportuno, insieme alla Legambiente, favorire un confronto per sensibilizzare la popolazione della provincia di Ragusa alla raccolta differenziata dei rifiuti. Anche il presidente di Legambiente di Ragusa, Claudio Conti, si è soffermato sulla “questione culturale per favorire una più corretta gestione dei rifiuti in provinciaâ€.
Grande interesse invece hanno suscitato le testimonianze del sindaco di Villafranca d’Asti nonché presidente dell’Ato del Bacino Artigiano Rifiuti, Massimo Padovani, e del vice sindaco di Mercato San Severino (Salerno), Giovanni Romano, i quali hanno rappresentato la loro esperienza di comuni virtuosi in Italia in fatto di raccolta differenziata dei rifiuti. “Il segreto del buon risultato raggiunto col 65% di raccolta differenziata nel nostro comune – ha detto Padovani – è dipeso soprattutto da un cambio di mentalità : intanto non più una tassa ma una tariffa per i rifiuti e poi la certezza di creare un sistema virtuoso col cittadino responsabile di questo processoâ€.
Anche il vice sindaco Romano ha illustrato l’azione condotta dal suo comune che fa “da contraltare all’emergenza rifiuti che in questi mesi vive la Campaniaâ€. “Qualcuno si sorprenderà – ha detto Romano – di come siamo riusciti a raggiungere questi obiettivi in una regione che invece vive quotidianamente l’emergenza rifiuti. In realtà ci siamo mossi in anticipo rispettando tempestivamente il decreto Ronchi su cui magari altri amministratori hanno dormito. Il successo è stato dettato dalla volontà di rendere il cittadino protagonista della raccolta differenziata e di farlo anche risparmiare. La raccolta differenziata è un problema culturale che va affrontato a cominciare dalle scuole e dalle singole agenzie educative se vogliamo riuscire a far centroâ€.
Il dirigente dell’Ato Ambiente di Ragusa, Fabio Ferreri, invece, ha fatto il punto sulla situazione rifiuti in provincia e sullo stato dell’arte delle 3 discariche in provincia, nonché sulla nascita dei due centri di compostaggio che aiuterà a risolvere parzialmente i problemi. Ferreri sulla minacciata chiusura della discarica di Scicli per oggi ha annunciato che “in forza di una norma contenuta nell’ultima legge Finanziaria le discariche prossime alla chiusura sono state prorogate sino al 31 marzo 2008â€.
(gm)
Disastro ambientale a Pergusa
Muore il lago di Proserpina
L’invaso, in provincia di Enna, al centro di miti e leggende
Da giorni misteriosa strage di pesci, in particolare carpe
Chiusa la riserva naturale, in corso le analisi di esperti e biologi
ALESSANDRA ZINITI
PERGUSA (Enna) – I pesci hanno cominciato ad affiorare qualche giorno fa. Prima qualcuno, poi diverse decine. Ammassati nelle anse e sulle rive del lago. Morti, tutte insieme, senza nessun evidente motivo. Se ne sono accorti i contadini della zona e hanno dato subito l’allarme. I biologi della riserva e i tecnici dell’Ausl sono partiti provette alla mano, ma in attesa del responso al sindaco di Enna hanno dato subito un suggerimento: dichiarare off limits il lago di Pergusa, una delle più importanti riserve naturali della Sicilia, tappa obbligata per migliaia di uccelli migratori che proprio in questo periodo fanno la loro comparsa, un ecosistema floro-faunistico che solo da qualche anno sembrava aver ritrovato il suo equilibrio dopo un lungo periodo di degrado ambientale dai tempi dell’endemia malarica degli anni Sessanta.
Ieri il lago di Pergusa, il più alto di Sicilia con i suoi 600 metri d’altezza, pullulava di esperti e biologi, tutti a fare prelievi per capire il fenomeno e trovare la causa di questa improvvisa moria di pesci. In particolare carpe, una specie della quale il lago era stato ripopolato tre anni fa, dopo che il bacino rimasto a secco per diverso tempo svuotato d’acqua dalle sempre più numerose case di villeggiatura della zona e soprattutto dall’autodromo che lo cinge come un anello, è tornato a riempirsi. Preoccupato, ieri pomeriggio, subito dopo aver firmato l’ordinanza che vieta a tempo indeterminato qualsiasi accesso al lago, anche il sindaco di Enna Rino Agnello è andato a sincerarsi dell’entità del fenomeno. “Gli esperti stanno facendo i prelievi e il servizio veterinario dell’Ausl sta esaminando anche le carcasse dei pesci. Qualcuno ipotizza che possa essere un fenomeno ciclico, ma la verità è che in questo momento non c’è alcuna certezza scientifica. Per questo mi hanno suggerito di firmare un’ordinanza che vieta qualunque uso dell’acqua del lago: da quelle irrigue a quelle sportive e ricreative”.
Un’altra emergenza colpisce una delle più belle zone naturalistiche della Sicilia, da sempre oggetto di un braccio di ferro tra ambientalisti e istituzioni. Soprattutto per quell’autodromo che cinge il lago spezzando con una striscia d’asfalto il colpo d’occhio di quella distesa d’acqua azzurra e del canneto tutto attorno. Tranne in quei periodi dell’anno in cui le acque diventano color vinaccia per la comparsa di milioni di batteri porporei e il bacino diventa “il lago di sangue”. Un fenomeno emozionante con quell’aura mitologica legata al ratto di Proserpina che permea ancora la vita della gente del luogo. I più vecchi qui raccontano sempre ai nipotini che l’alternanza delle stagioni è dovuta proprio al ritorno in quei luoghi, solo per sei mesi, della bellissima fanciulla figlia della dea Demetra rapita da Ade mentre passeggiava lungo le rive del lago.
“Tarsu-ssati”
In questi giorni ai cittadini modicani vengono recapitate le cartelle esattoriali relative alla integrazione della tassa sui rifiuti solidi urbani per l’anno 2007, mentre è ancora in corso il pagamento di quella originaria.
L’incremento della tassa, che in soli due anni è aumentata di oltre il sessantacinque per cento, è la conseguenza della scelta operata dal Sindaco Torchi e dalla sua maggioranza, Udc, Forza Italia e Mpa, che in occasione della discussione sulle variazioni di bilancio in Consiglio Comunale il 28 novembre, in appena venti minuti, senza adeguata documentazione e contro la volontà del centrosinistra, ha approvato un incremento del costo del servizio che adesso devono coprire i cittadini.  Â
Secondo uno studio comparato riportato da un quotidiano in questi giorni, a Modica si paga l’aliquota della tassa sui rifiuti più alta della provincia; inoltre i cittadini devono sapere che anche nella proposta di bilancio di quest’anno, approvata dalla Giunta Torchi e sottoposta al Consiglio Comunale, viene previsto un altro incremento della tassa, pari a circa quattrocentomila euro che i modicani si ritroveranno a pagare nella cartella per il 2008.
Tutto questo a fronte di un servizio che registra il fallimento dell’azione amministrativa e che assume il carattere dell’emergenza: dal crescente debito, pari a circa ottomilioni di euro, con il Comune di Scicli, ai debiti consolidati con la ditta Agesp, ai debiti con la ditta che attualmente svolge il servizio, la cui conseguenza si ripercuote sui ritardi del pagamento degli stipendi ai dipendenti, costretti allo sciopero per il rispetto dei loro diritti, ad un risultato deludente in ordine alla raccolta differenziata, ferma al sei per cento, all’assenza di prospettive in ordine alla chiusura imminente della discarica di Scicli.Â
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Nel sostenere le ragioni e la protesta di quanti in questi giorni, associazioni, sindacati e singoli cittadini, lamentano l’eccessiva, concomitante e forte pressione fiscale dovuta alle due bollette della tarsu, che sta mettendo a dura prova innumerevoli nuclei familiari, denunciamo ancora una volta che in assenza di una vera e propria strategia finanziaria, che ha portato il Sindaco Torchi e la sua maggioranza in questi cinque anni a gestire con estrema disinvoltura il bilancio comunale, la vera essenza dello sbandierato “piano di risanamento finanziarioâ€, condiviso dai partiti del centrodestra, è costituita esclusivamente da un incremento della pressione fiscale a danno dei cittadini di Modica.
Vito D’Antona
Infrastrutture ed opportunità sprecate in Provincia !!?
Provincia di Ragusa all’anno zero per le infrastrutture. Per rendercene conto non occorre l’Istituto Tagliacarne, che nei suoi rapporti, con un’umiliante ed inesorabile cadenza annuale, ci dice che al riguardo siamo addirittura ultimi in Italia. Basta muoverci nel raggio di venti chilometri per fare i conti con un sistema viario borbonico, inadeguato, dove i cippi chilometrici lasciano via via il posto a quelli commemorativi dei tanti rimasti vittime di questo sistema.
La nostra non è però una carenza generalizzata. Il problema riguarda infatti la capillarità della rete infrastrutturale, praticamente la parte terrestre, mentre invece siamo ben forniti di grossi presidi che in Sicilia e nel bacino del Mediterraneo rappresentano due vere e proprie risorse: il porto di Pozzallo e l’aeroporto “Pio La Torre†di Comiso (nella foto lo “sbarco” del ministro degli Esteri D’Alema intervenuto per l’intitolazione dello scalo). Anche un bambino comprende tuttavia che queste due grandi strutture se non hanno un collegamento alla loro altezza col territorio di riferimento funzionano a scartamento ridotto. Così come è una regia unica a mancare, una sorta di governance, perché un sistema del genere, come tutti i sistemi, va pensato, studiato, progettato, realizzato governato. Chi è responsabile di questa situazione? Chi blocca una delle due ruote del carro dello sviluppo intermodale ibleo?
Manca una “cabina di regia” unica per il monitoraggio della situazione delle infrastrutture in provincia. La posta in gioco è talmente alta, proprio perché da infrastrutture efficienti, in rete, pensate e realizzate con il consenso del territorio e integrate con il sistema produttivo ibleo non può che svilupparsi un’area fortemente competitiva perché riesce ad abbattere un costo che grave pesantemente sul prezzo finale dei nostri prodotti. Dove potrebbe sorgere questa “cabina di regia” se non alla Provincia regionale di Ragusa? Di recente la polemica è scoppiata in tutta la sua intensità a seguito del dibattito, avviato proprio a viale del Fante, sulla partecipazione della provincia stessa alla SOACO, la società di gestione dell’aeroporto di Comiso. Il protocollo fra comune di Comiso e provincia di Ragusa è stato già firmato, ma prima, quando la questione venne posta, il sindaco Pippo Digiacomo, abituato com’è a contare fino a dieci prima di parlare, ha risposto, in buona sostanza: meglio tardi che mai! Ma, ha aggiunto: prima di pensare a sedervi a tavola, non è il caso di contribuire ad apparecchiare, pensando ai collegamenti viari tutt’intorno all’aeroporto, collegamenti di fatto inesistenti? Digiacomo sa benissimo – avendolo vissuto direttamente sin da quando sette anni fa affrontammo la questione alla Presidenza del Consiglio – che la Provincia di Ragusa non ha mai creduto all’effettivo decollo dell’aeroporto di Comiso, alternando dileggio e diffidenza, noncuranza e indifferenza, sabotaggi e maldicenze. Tutto, fuorché il compimento del suo dovere di istituto: partecipare e credere nel progetto, compiere atti di governo che rispondessero alla domanda “ma io, Provincia, ente sovra e intercomunale per eccellenza, cosa posso fare di utile e di concreto per esserci, per qualificare questo grande progetto che non è solo un fatto sentimentale, ma è l’aggiunta vera di un fattore di sviluppo vero in un’economia vera con problemi infrastrutturali veri? Una visione strategica e lungimirante è evidentemente mancata.
Il problema di tutta la questione sta proprio qui. La lungimiranza, la visione strategica di un sistema intermodale la cui “regia†non può che stare in capo alla Provincia e senza la quale il sistema non esiste. E siccome è tutto il sistema a trovarsi in crisi occorre un’analisi. Perché la Provincia regionale di Ragusa ha altre responsabilità . Vediamole.
La “514”. A dire il vero in questo caso non è responsabile solo la Provincia, ma l’intera classe politica iblea, di centro-desatra e di centro-sinistra, di maggioranza e di opposizione, con l’unica eccezione della consigliera comunale socialista di Ragusa, Sonia Migliore che è sulla stessa lunghezza d’onda del sottoscritto: entrambi ci troviamo purtroppo in una posizione di netta, nettissima minoranza. Qual è il nostro pensiero? Come si sa la soluzione finanziaria trovata per il raddoppio della “514†è il project financing. Lo stato mette una parte, l’altra la mette un privato che si rifà con l’imposizione di un pedaggio quando la strada sarà in esercizio. E’ stata così confezionata una vera tassa sull’economia e sui viaggiatori ragusani che coltivano rapporti di vario genere con Catania, che si servono del “Fontanarossa†o del porto etneo. Se è giusto avviare una serie di politiche di “pari opportunità infrastrutturali†a vantaggio della provincia di Ragusa, perché fare pagare al territorio un’opera pubblica? Perché così è. I soldi c’erano ed erano quelli stornati dalle opere preparatorie del Ponte sullo stretto. Sono stati buttati, dico buttati, per le metropolitane di Palermo e Catania e per una fantomatica autostrada a Caltanissetta. Abbiamo subito uno scippo in piena regola, sancito dall’Accordo Stato-Regione che ha ufficializzato queste scelte e sul quale tanto il governo nazionale – di centro-sinistra – quanto il governo regionale – di centro-destra – hanno dato il loro apporto. I nostri parlamentari, tutti, hanno plaudito.
La Provincia ha addirittura utilizzato la cosa come uno “spottone†per la riconferma di Antoci a gennaio scorso, quando all’Audiotorium della Camera di Commercio il progetto – ricco degli effetti speciali, delle simulazioni e delle virtualizzazioni del caso – è stato presentato. Il pedaggio? “Fisiologicoâ€, tagliò corto il presidente Antoci che non aveva perso tempo nel mettere il cappello sull’iniziativa. Chi campa paga.
La “Siracusa-Gela”. L’autostrada entrerà presto in esercizio nel tratto Rosolini-Siracusa che servirà un lembo della provincia di Ragusa. Avere lo svincolo a Rosolini comporterà per Ispica, Pozzallo e Modica di potere usufruire dell’attesissima opera. Dal versante ragusano non è stato mosso un dito per riconoscere l’attesa delle popolazioni e del mondo produttivo dell’ex contea per evitare che l’autostrada risultasse un’altra grande opera compiuta ed inutilizzata. La Provincia manco c’ha pensato, a riprova peraltro delle politiche troppo Ragusa-centriche che persegue.
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La ferrovia. In economia dei trasporti c’è una regola d’oro che a Ragusa si è dimostrato di sconoscere. E’ quella in base alla quale le merci chiamano i passeggeri. Le strade, le rotte, i percorsi seguiti dalle cose, finiscono sempre per essere seguiti dalle persone. E’ spiegato da ciò il fatto che sul rilancio della ferrovia in provincia di Ragusa pestiamo l’acqua nel mortaio, come diciamo dalle nostre parti. Non ne usciamo se non finanziando con soldi pubblici una rete in perdita. Ed è in perdita, facciamo notare, da quando hanno smesso di funzionare come scali merci le nostre stazioni ferroviarie. Il bello è che la nostra è una provincia che le merci le produce e le materie prime ce l’ha. E’ sbagliato parlare solo con Trenitalia o con RFI: il gruppo delle Ferrovie dello Stato ha due strutture, la Cargo ed FS Logistica la cui presenza in provincia di Ragusa è necessaria. Chi ci pensa? I raccordi ferrovia-porto di Pozzallo e ferrovia-aeroporto di Comiso sono tra l’altro strategici per il ragionamento che stiamo facendo, ma attorno ad essi è buio pesto, al netto delle luci pre-elettorali della scorsa primavera fatte brillare per il raccordo col porto.
Il porto di Pozzallo. L’Autorità di gestione, il mostriciattolo giuridico, politico e trasportistico creato dalla Regione, è abortita. Dirompente in questo senso la pronuncia del TAR a seguito dell’impugnativa del comune di Pozzallo. Dopo la sentenza tutto è tornato come prima: l’assessorato regionale al territorio ha ripreso la paternità dell’assegnazione delle aree e il comune di Pozzallo ha riavuto la titolarità di ente appaltante delle opere di messa in sicurezza del porto: abbiamo bruciato due anni nei quali in tutte le lingue e in varie salse abbiamo detto, anche da questo giornale, che l’Autorità di gestione era uno strumento, oltre che inadeguato, anche e soprattutto fuori dalla logica e dal mondo. Perché questa premessa? Perché la Provincia ha spalancato porte e finestre all’Autorità di gestione, assumendo il ruolo di chierichetto in un rito di vecchie logiche di potere e di prediluviane creazioni di carrozzoni mangiasoldi, fortunatamente sventate. La Provincia ha abdicato al ruolo di primo piano che la creazione a Pozzallo di un’Autorità portuale nazionale le conferirebbe: garanzia e rappresentanza di tutto il territorio della provincia nelle politiche di gestione del porto. E’ poi scandalosa la questione della stazione marittima. Pozzallo è diventato il porto regionale primo in Sicilia per passeggeri, soprattutto grazie ai rapporto stretti con Malta, senza che la Provincia onorasse l’impegno di costruirla. Ogni tanto, magari a ridosso di elezioni, sentiamo qualche annuncio. Ma di concreto, nulla.
La viabilità provinciale. Resta emblematico su questo aspetto quanto detto a proposito dei collegamenti da e per l’aeroporto “Pio La Torreâ€. Oggi, oltre ai fondi ex Insicem e ad una gestione meno orientata all’effimero, ci sono in più le risorse messe in campo dal Governo nazionale, sulle quali la manifestazione autonomista, concomitante con la contro-firma del provvedimento da parte del ministro dello sviluppo economico Bersani, fa venire in mente la mitica mosca cocchiera che si illude di guidare il bue sul cui collo è posata. Resta la consistenza di un provvedimento del governo Prodi che dovrebbe essere speso per la viabilità provinciale. Ma senza un piano strategico, ripetiamo provinciale, in una logica intermodale che parta dai grossi presidi già esistenti (porto, ed aeroporto), attenzioni quelli futuri (autoporto di Vittoria e piattaforma logistica retro-portuale di Pozzallo), valuti l’impatto dei pullman di turisti e di traffico automobilistico in genere nei poli turistici della provincia (centri tardo-barocchi, Marina di Ragusa con il suo porto, la costa con la particolarità di Pozzallo), decongestioni il Polo Commerciale di Modica i soldi, ancora volta li buttiamo. Prima dell’asfalto occorrono il pensiero, il progetto, l’idea di provincia (intesa come territorio) che si ha: se multipolare o no, se economicamente e produttivamente varia e ricca di diversità o no.
Fino ad oggi l’ente provincia le opportunità la ha sprecate tutte, come abbiamo visto in questa rassegna che non vuole essere esaustiva, ma esemplificativa di una situazione. Con essa le abbiamo sprecate tutti noi, le nostre imprese, i nostri clienti, le nostre famiglie, i nostri studenti, i nostri turisti, la nostra immagine. La Provincia avrebbe dovuto avere ed ha ancora la forza e il prestigio istituzionali di dare una spinta propulsiva al sistema integrato delle nostre infrastrutture, dove la parola “integrato†ha un senso.
Ci viene in mente una battuta attribuita a John F. Kennedy, secondo il quale un presidente degli Stati Uniti in genere utilizza il primo mandato per farsi rieleggere, il secondo per governare. Vogliamo proprio sperare che lo stesso valga anche per il presidente di una provincia come la nostra.
Ato avvisato,….
Legambiente Ragusa e Vittoria, Fare verde, Cai, Lipu, CIRS, Italia
Nostra, hanno deciso insieme di chiedere all’ATO di bandire immediatamente la gara provinciale per la raccolta differenziata.
Tutte le associazioni che volessero associarsi a questa richiesta sono pregate di mandare l’adesione. I sindacati ci hanno chiesto di associarci a loro per un incontro dal prefetto per chiedere sempre la stessa cosa. Come prima si raccolgono le adesioni. Vale per tutte le associazioni
Al Presidente dell’ATO Ragusa Ambiente
Le immagini provenienti dalla Campania ci fanno capire ciò che potrebbe succedere anche da noi se non si fa partire subito la raccolta differenziata porta a porta. Oggi in provincia di Ragusa ciò è possibile perché l’ATO dal mese di luglio 2007 ha pronto, sia il bando di gara, sia il capitolato d’appalto per la gestione integrata dei rifiuti e tutto ciò che serve per ottenere in tempi ristretti eccellenti risultati : il finanziamento di un milione di euro per la campagna di comunicazione, un finanziamento europeo per l’acquisto dei mezzi per la raccolta differenziata, due impianti di compostaggio che entro l’estate potranno trattare fino a 27.000 tonn/anno di frazione organica, due impianti di selezione per la frazione secca che possono trattare 40.000 tonn/anno, nove centri comunali di raccolta , una discarica di supporto in costruzione da 380.000 mc. e la possibilità del pretrattamento dei rifiuti a bocca d’impianto, così come previsto dalle direttive comunitarie, evitando così in discarica la formazione di percolato e biogas.
Con queste condizioni, che nessun altro ATO siciliano ha, il 55% di raccolta differenziata previsto dal piano d’ambito si può raggiungere e anche superare, con costi appena superiori a quelli attuali, ma con una qualità del servizio di gran lunga migliore.
Questi obiettivi sono raggiungibili, anche se parzialmente, già entro alcuni mesi con il risultato di disinnescare l’emergenza rifiuti entro l’estate.
Oggi gli sforzi non vanno rivolti a cercare altri siti per altre nuove discariche, ma a far partire la raccolta differenziata spinta con invio della parte umida all’impianto di compostaggio e della parte secca agli impianti di selezione. La frazione residua, dopo la separazione secco-umido, darà  Frazione Organica Stabilizzata e parte secca combustibile da inviare al recupero energetico o , in mancanza di esso in discarica. In quest’ultima, a regime, non arriverebbe più del 30% dei rifiuti.
La preghiamo pertanto, al fine di evitare ai cittadini di questa provincia situazioni come quella campana, di bandire immediatamente la gara per l’affidamento del servizio integrato di raccolta e smaltimento dei rifiuti, che i comuni hanno già approvato, senza indugiare oltre.
Ligabue per l’Ambiente
Il videoclip della canzone di Pierangelo Bertoli “Eppure il vento soffia ancora” interpretata, a titolo gratuito, da Luciano Ligabue per una campagna di sensibilizzazione ambientale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
La scheda dello Spot, Titolo: “Eppure soffia. Campagna di sensibilizzazione per l’Ambiente”
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Ligabue canta “Eppure soffia” di Pierangelo Bertoli
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Regia: Regina Valletta
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Produzione: Icc Management srl – E-mail: iccmanagement@gmail.com
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Coordinatore del Progetto per il Ministero dell’Ambiente: Lello Savonardo
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Durata: 00:01:20.
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Il testo dello Spot.
Sulle immagini in bianco e nero e a colori del videoclip, mentre scorrono le note della canzone, compaiono le seguenti parole:
LIGABUE interpreta “Eppure soffia” di Pierangelo Bertoli
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Ognuno ha il DIRITTO a un mondo migliore.
Ognuno ha il DOVERE di agire nel presente pensando al futuro.
Ognuno ha il POTERE di proteggere la vita intorno a noi…ORA.
I Parchi e le Aree Marine Protette
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
http://www.minambiente.it
Discariche “cariche”
C’è ancora chi si “RIFIUTA†di capire alcune cose fondamentali per evitare di conferire in maniera abusiva. Aldilà della difficile gestione delle discariche abusive, che proprio in quanto tali, sono incontrollabili, vi sono anche una serie di fattori di pericolo causati dalle stesse. Quali? Primo in assoluto, è quello dell’occlusione di alvei e canali naturali, che, una volta carichi di immondizia abusiva, non fanno defluire le acque, soprattutto quelle piovane che poi, inondano in modo incontenibile, campagne, centri abitati, strade battute da pedoni e vetture. Nessuno ha contezza della pericolosità di un canale naturale, ostruito dai rifiuti.
Il secondo pericolo è quello determinato da tutti noi, forse anche inconsapevolmente: quello di buttare in mezzo alla strada carte, cartine, cartacce, cicche di sigarette, gomme da masticare, cellophane, e tante altre cose che noi riteniamo “ quasi invisibiliâ€. Ma non lo sono affatto! Queste cose di poco conto, vanno ad intasare tutte le griglie di raccolta delle acque piovane, per cui, in caso di inondazioni, l’acqua non trova alcuno sbocco sotterraneo. A parte il fatto che, gettare rifiuti nelle strade, è un palese segno di inciviltà , visto che esistono dappertutto gli appositi contenitori. Ma è stancante percorre qualche metro per arrivarci. Meglio buttare in mezzo alla strada.
In queste settimane, l’attenzione è stata maggiormente rivolta ai problemi dei rifiuti di grossa entità , ed è giusto che sia così. Ma questi che possono superficialmente sembrare problemi minori, nei fatti sono cause scatenanti di fenomeni ad alto rischio. Pensate a cosa accadrebbe se in un territorio ad alto rischio idro-geologico, si aggiungesse al danno la beffa di essere complici dell’ostruzione dei canali e degli alvei dei torrenti, e delle griglie di raccolta. Eppure, c’è ancora chi non ha capito niente. C’è chi , incurante delle conseguenze e privo di senso civico, sale in macchina, magari percorre tanti chilometri, spreca benzina, per trovare un posticino appartato e discreto, dove gettare sacchi e sacchi di immondizia. Ma c’è per caso qualche posto o qualche città o sperduto paese, dove non esistono i cassonetti dei rifiuti?
L’ultima e concludo: tempo fa, ho assistito personalmente alla campagna di sensibilizzazione sui rischi idrogeologici, fatta nelle scuole dalla Protezione Civile. Quelli citati, sono stati i primi punti all’ ordine. Alla fine di un incontro con i ragazzi, ne ho visto alcuni che, con aria circospetta e molto guardinghi, dopo avere scartato le loro abbondantissime merendine da chili di cellophane, hanno aperto la finestra, ed hanno buttato giù gli involucri. Il cestino della carta straccia era a pochi centimetri da loro…. Senza parole.
Laura Incremona
24 febbraio 1908: a Spaccaforno viene riconosciuto un gioiello
La notizia arriva a Spaccaforno (oggi Ispica) sul finire dell’inverno del 1908. Al municipio, sul tavolo del sindaco avvocato Corrado Bruno, portano una comunicazione che ha tanto l’aria di contenere notizie belle ed importanti. Arriva da Roma, dal Ministero alla Pubblica Istruzione, Direzione generale per le Antichità e le Belle Arti ed è datata 24 febbraio 1908. Inizia con un tono assai burocratico, ma dalle primissime parole fa capire di cosa si tratta. “In un recente rapporto riguardante la Basilica di Santa Maria Maggiore in codesto Comune, l’Ufficio regionale per i Monumenti della Sicilia avvertiva che la Chiesa costruita nel secolo XVIII ha una certa importanza per la storia della pittura in Sicilia, essendo decorata da buone pitture di Olivo Sozzi e Vito D’Anna e proponeva quindi d’iscriverla nell’elenco degli edifici monumentaliâ€. Il sindaco intuisce immediatamente. La lettura delle parole successive è chiarificatrice. “Accogliendo tale proposta questo Ministero ha già provveduto alla relativa iscrizioneâ€.
E’ fatta! L’istruttoria avviata quattro anni prima a seguito dell’istanza avanzata dal Presidente dell’Arciconfraternita dell’epoca, cavaliere Vincenzo Figura, ha concluso felicemente il suo iter. Determinanti erano risultate le fotografie agli affreschi, fatte scattare a spese del dottor Innocenzo Leontini per meglio documentare la richiesta. Erano stati anche interessati della pratica gli onorevoli marchese Carlo Di Rudinì e Giuseppe De Felice Giuffrida.
Il sindaco si inorgoglisce quando, continuando a leggere, constata che viene incaricato della notifica ufficiale del provvedimento. “Di ciò voglia la S.V., in cortesia, dare comunicazione al Presidente dell’Arciconfraternita di Santa Maria Maggiore…â€. Seguono precisazioni di natura tecnica, come il fatto che l’iscrizione all’Albo dei Monumenti nazionali non esime i proprietari della Basilica dall’eseguire lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria. Anzi, in quanto monumento nazionale, Santa Maria Maggiore non può essere trascurata. Insomma il riconoscimento è solo un fatto diciamo pure morale. Ma questo basta per la Spaccaforno di un secolo fa. Si dà annuncio solenne della cosa a tutto il paese, con un manifesto a stampa, come per le occasioni importanti. “L’avvenimento – vi si legge fra l’altro – che onora tanto l’arte, arrecherà senza dubbio giubilo al cuore di quanti sentono il culto per il bello e vanno orgogliosi del lustro e decoro del nostro paeseâ€.
Il Giovedì santo è alle porte. Così si organizzano celebrazioni in grande. E ad essere festeggiata non è la Basilica di Santa Maria Maggiore, quanto Olivo Sozzi e Vito D’Anna, i fautori veri del riconoscimento, gli artisti che l’avevano impreziosita “adornando di lor classiche pitture†e rendendola tempio “pur sacro nell’arteâ€, come si espresse il latinista ispicese Gaetano Curcio vergando l’iscrizione riportata sulla lapide commemorativa scoperta proprio il 16 aprile, Giovedì santo.
(Nella foto: “Il Trionfo della fede sull’isolatriaâ€; l’affresco, di Sozzi, è posto sotto l’organo).
Rosa Fronterrè Turrisi, la bibliotecaria conosciuta anche come studiosa e storiografa locale, quel Giovedì santo era ragazzina. E lo visse intensamente come si vede dalla lettura di questa parte del suo “La Basilica di Santa Maria Maggiore di Ispica (già Spaccaforno)â€, edito dal Comune di Ispica e stampato nel 1975. Ecco un brano del suo racconto. “Per due sere consecutive (15 e 16) fu disposta l’illuminazione nella Via XX Settembre: non essendoci ancora la luce elettrica, usando illuminarla con radi fanali a petrolio, per l’occasione furono preparati fanali a gas acetilene che vennero posti su due file di pilastrini in legno, intercalati da gonfaloni tricoloriâ€. Poi parla della mattinata e dell’arrivo alla stazione ferroviaria degli illustri ospiti forestieri. “Il Poggio della Calandra (il colle su cui sorgeva Spaccaforno ed oggi Ispica, ndr) brulicava di un’immensa folla: più di 15.000 persone, in gran parte forestieri, venuti numerosi per la festa, erano presenti all’avvenimento. Finalmente la locomotiva fischiò: gli ospiti scesero dal treno e salirono in paese: prima ad arrivare fu la musica militare che salutò la folla applaudente con l’inno reale; dietro era la rappresentanza della città di Catania composta dall’assessore Spina, dal segretario comunale signor Migneco, dal professor Abate Alessandro rappresentante del Circolo Artistico di Catania (in cilindro e frack), da quattro pompieri in divisa e da quattro valletti municipali recanti una ricca ghirlanda di fiori di maiolica e il gonfalone della città . Seguivano coi relativi gonfaloni le rappresentanze delle città di Scicli, Modica, Rosolini, Pozzallo e della Società “Patria e Lavoro†di Notoâ€.
Gli ospiti sono dapprima ricevuti in Comune, quindi vanno in Piazza Santa Maria Maggiore. E’ uno sfoggio di abiti di gala, un tripudio di bandiere, un continuo sparo di mortaretti, un rincorrersi di odori e di profumi, una girandola di colori con l’ovvia preponderanza del rosso. un assordante squillo di campane, un’armonica esibizione di bande, ben tre bande musicali ingaggiate per l’occasione. Si scoprono la lapide commemorativa, il mezzo busto di Sozzi e il ritratto di D’Anna. Seguono i discorsi ufficiali, con la prolusione affidata ad Alessandro Abate. Infine si forma un corteo che entra in pompa magna in basilica per poterne ammirare l’imponenza resa mirabile dagli affreschi sozziani.
Vale la pena leggere le cronache e visionare i documenti ufficiali di quei mesi perché rendono l’idea e ricreano un pathos unico che, a distanza di un secolo, siamo pronti a rivivere anche il prossimo Giovedì santo. Ad un secolo esatto dal decreto, l’Arciconfraternita di Santa Maria Maggiore e l’Amministrazione comunale sono al lavoro da tempo per preparare un programma degno della rilevanza della ricorrenza, sottolineata dalla processione della statua di Cristo alla Colonna fino alla chiesetta rupestre di Santa Maria. Un fatto che si verifica solo ogni Anno Santo e che, riproposto a cento anni dell’elevazione a Monumento nazionale della basilica, conferisce il giusto valore ad un gioiello. Un gioiello di cui tutta la Città va fiera e che i lavori di restauro in corso contribuiranno a restituire ai fedeli e ai cultori delle cose belle in tutto il suo splendore.
Gianni Stornello
La Sinistra-L’Arcobaleno, la scelta giusta
I Verdi andrannno alle elezioni con La Sinistra-L’Arcobaleno. Una scelta forte, che serve a mettere al centro della campagna elettorale i temi dell’ambiente, dei diritti, della pace. I valori veri di un Italia che possa avere davvero una sinistra ambientalista, ecologista, pacifista, come esiste in altri Paesi europei.
E va in questa direzione la sfida che abbiamo lanciato al Partito Democratico dicendo “non lasciamo a Berlusconi la strada asfaltata per la vittoria”.
Noi sappiamo che La Sinstra-L’Arcobaleno prenderebbe molti piu’ voti andando senza la zavorra del Partito Democratico.
Un partito che ha detto di no alle coppie di fatto e che continua a proporci il carbone. Ed inoltre c’e’ il problema delle amministrative. Si vuole votare lo stesso giorno anche per i governi locali: sicuramente per Roma e la sua Provincia, quindi realta’ importanti. Ed in questo caso proprio il Partito Democratico che dice di voler andare da solo alle elezioni nazionali – dove si rischia di regalare il governo a Berlusconi – chiede poi l’alleanza nei sistemi locali, dove c’e’ il doppio turno e dove l’alleanza al primo turno serve per rinforzarci nei confronti della destra. E’ evidente che chiederemo condizioni programmatiche molto chiare.
Non e’ possibile che in molte citta’ si facciano scelte di cementificazione, continuando a fare regali ai palazzinari ed a parti arretrate dell’imprenditoria italiana, chiedendo poi l’alleanza con La Sinistra-L’Arcobaleno. Dovremo ragionare molto bene. Dovremo vedere citta`per citta`, provincia per provincia, senza sottrarci alla necessita’ di non lasciare queste amministrazioni alla destra. Ma dovremo spiegare anche l’irresponsabilita’ del Partito Democratico che lascia il governo del Paese a Berlusconi, al conflitto di interessi e alle leggi ad personam.
250.000 posti di lavoro con l’industria verde
Non solo ambiente: la rivoluzione delle rinnovabili promette grandi benefici occupazionali
Con gli obiettivi dell’Unione europea, 250 mila nuovi posti da solare, eolico ed efficienza
In Germania è un business che già impiega oltre 200 mila lavoratori
L’esperto: “Ma anche in Italia è tutto un fiorire di nuove imprese e servizi”
di VALERIO GUALERZI
ROMA – Effetti collaterali: oltre 250 mila nuovi posti di lavoro entro il 2020, circa centomila in più della Fiat e 25 mila in più di Telecom e Poste Italiane messe insieme. Dei benefici climatici e ambientali della rivoluzione verde conosciamo ormai tutto, molto meno sappiamo dei vantaggi occupazionali che avrebbe il Paese puntando su rinnovabili ed efficienza energetica.
La promessa di Barroso. Nelle settimane scorse annunciando i dettagli del piano “20-20-20” per aumentare del 20% entro il 2020 l’efficienza energetica e la produzione da fonti rinnovabili, il presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso ha promesso che nel raggiungere questi obiettivi verrà creato “un milione di nuovi posti di lavoro”. Numeri pesanti per un Continente dove lo spettro della disoccupazione rimane sempre in agguato. Facile promessa o un’affermazione fondata?
Il rebus delle statistiche. Fare proiezioni precise è difficile perché statistiche ufficiali non ce ne sono e delimitare con esattezza il campo dell’industria delle rinnovabili e dell’efficienza energetica non è semplice. Nella generale nebbia dei numeri, almeno un faro a cui gli entusiasti del futuro rinnovabile possono lasciarsi guidare però c’è. In Germania, unico paese ad aver pianificato con la solita precisione la crescita del settore, lo sviluppo delle fonti alternative ha già portato alla nascita di oltre 200 mila posti di lavoro.
Seguendo la Germania. “Quello che sono riusciti a fare è impressionante”, dice Arturo Lorenzoni, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università degli Studi di Padova. “In Germania – ricorda – nel 2006 le rinnovabili contavano 214mila addetti, con un +36% rispetto al 2004”. Programmando e puntando ormai da diversi anni su questa scommessa, Berlino ha creato statistiche ad hoc. In Italia invece, ricorda Lorenzoni, “manca un’anagrafe generale dell’industria delle rinnovabili che non viene considereta una categoria a sé”.
Fotovoltaico per tutti. Per cercare di capire cosa accadrà seguendo le indicazioni del “20-20-20” non resta che aggregare studi di settore. Fissando come scadenza il 2020, l’espansione maggiore dovrebbe averla il solare fotovoltaico. Il Gifi, il Gruppo imprese fotovoltaiche italiane, cita le tabelle che ha elaborato insieme alla Commissione Nazionale energia solare del Ministero dell’Ambiente, per prevedere nel giro di 12 anni un balzo dagli attuali 3.000 impiegati (1.700 nella sola produzione) a quota 113mila. Tanti quanti ne richiederebbe lo scenario più roseo messo in preventivo, ovvero una crescita di potenza in grado di soddisfare il 7% degli attuali fabbisogni elettrici.
I numeri dell’eolico. Subito dietro, a leggere i dati dell’Anev, viene l’eolico. “Oggi il settore conta più o meno 10 mila addetti tenendo conto dell’intera filiera del processo produttivo e gestionale, ma nel 2020, raggiungendo l’obiettivo di 16mila Mw installati, dovrebbe occupare 66mila persone”, spiega Simone Togni, il segretario generale dell’Associazione nazionale energia del vento.
Più efficienza, più lavoro. Valori simili a quelli che promette di creare il risparmio energetico. A sbilanciarsi in proiezioni in questo caso è Greenpeace nel dossier del 2007 “La rivoluzione dell’efficienza”. La ricerca quantifica innanzitutto il volume di investimenti in efficienza convenienti economicamente, fissando la cifra per il periodo 2007-2020 a quota 80 miliardi di euro. Stanziamenti che produrrebbero “occupazione per un valore medio di 63.000 unità “. Aggiungendo altri 12 mila nuovi lavori, la quota italiana dei 300 mila che secondo le stime dell’Unione Europea verranno creati dalla filiera delle biomasse, si arriva a un totale di 254 mila occupati.
Rapporti convenienti. Un risultato straordinario che verrebbe raggiunto solo se si avverassero tutte le previsioni più positive, ma pur facendo una certa tara all’ottimismo, sulle potenzialità della scommessa non sembrano esserci dubbi. Anche perché, pur con valori diversi, tutti gli studi sono concordi nel riconoscere alle rinnovabili un rapporto tra megawatt installato e posti di lavoro creati decisamente più alto rispetto alle fonti tradizionali. “I numeri forniti dalla Iea – dice Lorenzoni – parlano di 12 persone impiegate per ogni Mw eolico installato, mentre in una centrale a ciclo combinato a gas, che sia da 800 o da 400 Mw, lavorano in tutto 30 o 40 addetti, ai quali vanno aggiunti quelli impegnati nei servizi che vengono esternalizzati”.
Ancora più allettanti le promesse del fotovoltaico, che stando ad alcuni studi curati dagli industriali tedeschi per ogni Mw prodotto ha bisogno di dieci operai, ai quali vanno aggiunti altri 33 addetti durante il processo di installazione.
La scommessa del Nordest. Sembrano traguardi ambiziosi e proiezioni iperottimistiche, ma chi come il professor Lorenzoni si occupa da anni della materia e vive nel cuore pulsante dell’imprenditorialità italiana, li ritiene sostanzialmente realistici. “Qui in Veneto – dice – è già partita la gemmazione di produzioni e servizi legati alle rinnovabili. Penso alla lavorazione del silicio, ma anche al settore elettromeccanico vicentino, leader in Italia, che si sta riconvertendo all’eolico. Nuove attività stanno sorgendo anche nel Trevigiano. Molte realtà sono già operative sul campo e lo stesso sta avvenendo in Lombardia”. “Questa nuova imprenditorialità – sottolinea ancora Lorenzoni – non è un miraggio, ma una realtà , anche se in una fase ancora pionieristica”.
Ci credono anche i big. Il dinamismo del Nordest e la sua capacità di fiutare gli affari sono note, ma segnali importanti arrivano da tutto il Paese. Dalla sua roccaforte delle Marche, un colosso come la Merloni Termo Sanitari sta ad esempio rapidamente puntando nella direzione del solare termico, settore importante che si intreccia però con attività tradizionali, rimanendo inevitabilmente fuori dalle statistiche citate sin qui. “MTS Group – spiega il direttore marketing Giorgio Scaloni – già da alcuni anni sta intensificando il suo impegno nello sviluppo di questa tecnologia in forte espansione di mercato. Con i nostri marchi siamo tra i leader nel solare termico in molti paesi Europei (Italia, Germania, Francia) e abbiamo una forte presenza anche in paesi extraeuropei, con attività produttive e commerciali di India e Cina”.
“Per quanto riguarda le prospettive occupazionali – prosegue Scaloni – il nuovo sito produttivo marchigiano dovrebbe arrivare ad occupare in un triennio circa il 5% del totale forza lavorativa italiana del gruppo, oggi pari a circa 1.600 unità “.
Occupazione su tutto il territorio. Dal Veneto, alle Marche, scendendo giù fino alla Puglia, dove sorge lo stabilimento italiano della Vestas, uno dei più grandi produttori mondiali di pale eoliche, l’industria delle rinnovabili offre anche il vantaggio di una presenza distribuita. “Per entrare in questo settore – osserva Lorenzoni – non occorre essere un colosso e neppure possedere un livello tecnologico esasperato. Le capacità manifatturiere sono quelle che già abbiamo, con una produzione che calza al modello di piccola media impresa tipicamente italiano. Nel business inoltre viene coinvolta una molteplicità di soggetti e la diffusione ha una importante ricaduta sul territorio”. La nuova economia insomma è verde, ma è già matura per essere colta.