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IL GRANDE AFFARE DEL TURISMO

Posted in Articoli by admin on 19 Agosto 2007

In Sicilia la classe dirigente non vuole un modello turistico centrato sulla valorizzazione della proprie risorse territoriali, ma punta sulle grandi strutture par fare grandi affari e continua a dilapidare risorse territoriali.

ecomostro

Agli inizi degli anni novanta, in Sicilia è entrato in crisi un sistema in cui l’acquisizione del consenso era garantita dall’uso spregiudicato ed incontrollato della spesa pubblica, da una crescita dei redditi e dei consumi senza sviluppo e senza autonomia, drogata dall’assistenzialismo e dalla corruzione, da una gestione dissennata del territorio e delle sue risorse. Da quegli anni la Sicilia è ancora alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo, e questa affannosa ricerca ha quasi sempre portato all’individuazione di due settori portanti per l’economia dell’isola: l’agricoltura ed il turismo. Nel settore primario esiste una lunga tradizione ed una imprenditoria piuttosto importante, ma non si può dire lo stesso per il turismo. La ricettività è quantitativamente sottodimensionata e di livello medio-basso, mentre i servizi complementari sono quasi inesistenti. Non vi è praticamente rapporto tra l’offerta turistica di bassa qualità e la domanda che è tra le più alte del nostro paese, perché legata allo straordinario patrimonio culturale dell’isola.

A partire da queste ragioni il governo Cuffaro ha puntato al rafforzamento del settore turistico come scelta strategica del suo governo, soprattutto nell’ambito della spesa dei Fondi Strutturali Europei degli anni 2000/2006. Ma le conseguenze sono tutt’altro che positive per il territorio siciliano in quanto, piuttosto che puntare sulle sue qualità, si sta trasformando questo necessario processo d’infrastrutturazione in una nuova occasione per fare grandi affari continuando a dilapidare le risorse territoriali.

In realtà tutto cominciò nella seconda metà degli anni novanta con l’avvio della stagione della programmazione negoziata. I patti territoriali e i PRUSST, prima ancora di Agenda 2000, avevano rappresentato una ghiotta occasione per tutti coloro che intravedevano, grazie a questi strumenti, la possibilità di realizzare grandi operazioni di valorizzazione fondiaria.

In Sicilia l’intera classe dirigente non è capace d’immaginare un modello turistico centrato sulla valorizzazione delle proprie risorse territoriali e punta piuttosto su grandi strutture realizzate secondo la logica dei sistemi chiusi: grandi villaggi vacanze, resort di lusso con campi da golf, grandi parchi tematici.

Il primo modello consentirebbe una diffusione dei flussi turistici su tutto il territorio, coinvolgendo anche le aree interne che spesso sono le più integre dal punto di vista paesistico e naturalistico; favorirebbe la destagionalizzazione; garantirebbe la crescita di una nuova imprenditoria locale; avrebbe un bassissimo impatto sul territorio. Non bisognerebbe inventarsi nulla, ma provare semplicemente a riprodurre le migliori esperienze italiane ed europee. Esperienze che, nonostante abbiano puntato più sulla qualità dell’offerta che sulla quantità, hanno dimostrato come anche sul piano dei numeri quella è una strada vincente. Nelle classifiche per numero di presenze turistiche, sia a livello mondiale che nel nostro paese, primeggiano le regioni ricche di beni culturali ed ambientali. Conoscendo le peculiarità del territorio siciliano, la scelta di questo modello dovrebbe essere scontata.
Ma non è andata così.

In cima alle priorità di spesa per il sostegno alle attività turistiche sono stati messi i porti turistici e i golf resort. In pochissimo tempo sono fioriti dal nulla 48 progetti di campi da golf con annesse strutture ricettive, nonché un diluvio di porti, più o meno grandi, attorno ai quali sono previsti centri commerciali e alberghi. E se non c’è spazio a sufficienza ci si espande a mare, come era stato previsto nel golfo di Taormina.

E siccome non è ancora abbastanza, in questi giorni sta per esser firmato un “contratto di localizzazione” per la realizzazione di un mega parco tematico da 307 ettari attorno al lago Pozzillo, in provincia di Enna. Due alberghi da 2.600 posti letto, cinque diverse aree tematiche nelle quali non ci si farà mancare nulla (pare che dovrebbe esserci spazio per un Colosseo e una torre di Pisa), giochi strabilianti di ultima generazione e ovviamente l’immancabile campo da golf. Il tutto per un investimento di circa 600 milioni di euro, di cui circa 100 dello Stato e 25 della Regione.

Secondo i proponenti per rendere remunerativo un tale investimento ci vorranno 1.600.000 visitatori l’anno. Una cifra ragguardevole, e forse velleitaria, se si pensa che il parco dovrebbe essere realizzato in un’area interna della Sicilia.

Proprio sulla sostenibilità economica del progetto nella sua prima versione (erano previsti altri due alberghi e costava circa 800 milioni di euro), Sviluppo Italia – che doveva istruire la pratica per il Ministero dello sviluppo economico – nel 2004 aveva espresso parere negativo.

Il progetto però non si è perso. Con la forte spinta di un consenso trasversale che ha visto protagonisti importanti esponenti dei DS e di Forza Italia, tutti gli amministratori e gli imprenditori locali, si è arrivati all’approvazione dell’accordo di programma con il nuovo governo nazionale. E ciò nonostante sia banale sottolineare che in Sicilia non è certamente necessario realizzare una miniatura del Colosseo o della Torre di Pisa per costruire una reale economia turistica.

Un parametro indicativo per comprender meglio la strategia in atto è la percentuale di fondi strutturali europei, fondi statali e fondi regionali che sono stati investiti in Sicilia in questi anni: bassissima quella destinata alla manutenzione del territorio, al restauro dei beni culturali, alla tutela delle risorse naturali, alla realizzazione di piccole strutture ricettive extralberghiere; altissima quella destinata alle grandi infrastrutture turistiche.

La classe dirigente siciliana non si è ancora emancipata dalla cultura delle “grandi opere”. Si è semplicemente passati da quelle pubbliche a quelle private. Negli anni ottanta si realizzavano dighe spesso inutili o acquedotti senza acqua, oggi si cofinanziano grandi strutture turistiche prescindendo dalla loro utilità socio economica.

La differenza rispetto al passato sta tutta nell’investimento di fondi privati (comunque ben spesi perché alla fine della breve vita di queste strutture ci si assicura il capitale legato alla rendita fondiaria) e nell’utilizzo di molto “verde” che va di moda e garantisce la “sostenibilità ambientale” del progetto. Cosa c’è di più sostenibile di un parco a tema con le copie di alcuni importanti beni monumentali e un campo da golf con un verdissimo green??

Mimmo Fontana
http://www.isolapossibile.it/article.php3?id_article=1665
Foto: Stagniweb

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