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Sampieri, la borgata dove si poteva sognare

Posted in Articoli by admin on 14 Settembre 2007
Spiaggia di Sampieri negli anni 1970

Per il recente ferragosto, hanno sporcato talmente la spiaggia di Sampieri, che la serena borgata dove si sognava è finita sui giornali. Non in quel modo, pensavo. E andavo a ritroso nel tempo, dando una occhiata a cosa scrivevano. Gli esseri umani non si distinguono più dalle cavallette, ma queste ultime sono affamate e partono a stormi che riescono ad oscurare il cielo. L’uomo moderno lascia dietro di sé i miti del consumismo, la sporcizia fatta da pannolini nascosti nella sabbia, e da tutto il resto. Ciò che l’uomo divora giornalmente, e non mi riferisco solo al cibo, finisce poi in forma di sporcizia su di una spiaggia. Se le cavallette oscurano il cielo, l’uomo porta il buio nella ragione. Perché, ad essere ragionevoli, non riuscirei mai a capire questi suoi comportamenti. Pigliare e gettare significa, in altre parole, non avere nemmeno rispetto per se stessi. Non siamo i soli a farlo, diranno coloro che si sentiranno colpiti da questo mio scritto, quelli che considerano normale aprire lo sportello dell’auto e pulire i portacenere rivoltandoli per la strada. Ma come stavamo noi, quaranta e più anni fa, a Sampieri?

E come era la meraviglia della costa iblea, ineguagliabile per splendore, con la sinuosa baia dipinta dal mare e dalla sabbia, in una straordinaria armonia con il paesino bianco, quasi un pueblo che coceva ad agosto, e brillava come un diamante? La baia era come un arco teso verso lo “Stabilimento Bruciato”, una vecchia fabbrica che ovunque in Europa, sarebbe diventata un esempio splendido di architettura industriale. E dentro vi avrebbero potuto fare luoghi di accoglienza, sale per mostre, biblioteche. Tutto con grandi finestre, e di fronte il blu del mare, il Mediterraneo di Odisseo che diventa lentamente grigio, come sostengono gli scienziati. Il grigio viene dagli scarichi delle industrie, dalle alghe assassine, e potrebbe accadere, un giorno, che quel blu, dentro cui si sentivano dentro una grande madre, possa essere solo il ricordo. Il blu di Piero Gruccione, il mare salvato dall’arte. Utopia tragica, questa, ma in questi giorni di Settembre, scemata la massa di “bagnanti”, Sampieri è ridiventata incantevole. Ad ogni suo angolo un ricordo.

Sampieri scalo barche negli anni 1960Don Turiddo, per esempio, che era stato in America. Noi ragazzi lo invidiamo perché ci racconta della terra di Elvis Presley, del Rock ‘n Roll, del “siciliano” Frank Sinatra che metteva il miele nella sua voce e faceva impazzire le ragazzine. Ma Don Turiddo era ritornato a Sampieri, non avrebbe mai potuto vivere altrove. E a Sampieri era poi morto, con la finestra della sua casa che dava quasi sul mare, con gli amici che conversavano al molo, con le barche che ritornavano all’alba e portavano quei pesci presi con pazienza ed affetto. Non uccidevano nulla nel fondale, i pesci erano contati, quasi vi fosse una tabella non scritta che ne indicava la quantità. Non era il tempo delle navi moderne con le reti a strascico, dei mostri che portano via persino il plancton. Forse è meglio che i vecchi di quel tempo, il Capo Blundetto che somigliava a Picasso, e molti altri con i visi che portavano i segni del sale, se ne siano andati nel mare più grande che è l’eternità. Come era Sampieri cinquant’anni fa? Forse eravamo solo i modicani ad abitarla d’estate, come se ci appartenesse, e Dio sa come la tenevamo, un gioiello!

Di notte, noi Belgiorno e Marcello Perracchio andavamo per i violetti immersi nel buio, con le chitarre. Nessuno dormiva d’estate. E sulle terrazze si “ciuciuliava”, parola bellissima del nostro dialetto che allo “chouchoter” francese somiglia. Non vi erano motociclette con centauri impazziti, non vi era nemmeno il televisore acceso, tanto “per farsi compagnia”. Assurdo pensare, che di fronte a quel mare, si stia di fronte ad una cassa che brilla, da cui escono fuori visi delle veline, degli imbonitori di turno! A quel tempo non accadeva, e se poi il mondo è progredito, non si può dire che questo sia accaduto con intelligenza! Cantavamo “sapore di sale”, e ce ne andavamo a piedi nudi sulla sabbia, con le dune che sembravano schiere di animali mitici quando la luna vi buttava sopra la sua biacca. E i gigli di sabbia, che a toccarli appassivano subito! Un bacio in quella serenità, il pudore della notte che calava sugli amanti come a volerli proteggere. E da lontano, il profumo del pesce fritto sino a notte tarda, come un prestito restituito al mare, un debito che si saldava con l’onore del silenzio!

Franco Antonio Belgiorno Dal Giornale di Sicilia del 13/07/2007
Foto tratte da Contea di Modica

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