Accesso al mare, obbligo di legge ma nel Belpaese resta una chimera
Legambiente, Pd e Verdi denunciano: si moltiplicano cancelli e sbarramenti
In barba al pronunciamento della Cassazione, contraria all’accesso ai soli paganti
CANCELLI, sbarramenti, paletti, recinzioni. Esistono molte maniere per impedire l’accesso al mare. In comune hanno un unico elemento: sono illegali. Lo ha stabilito il 16 febbraio 2001 la terza sezione penale della Corte di Cassazione: “Nessuna proprietà privata e per nessun motivo può impedire l’accesso al mare alla collettività se la proprietà stessa è l’unica via per raggiungere una determinata spiaggia”.
Dunque negare l’accesso al mare è un atto illegale. Ma frequente. Lo ha denunciato il ministro ombra dell’Ambiente Ermete Realacci con un’interrogazione parlamentare in cui si cita una serie di abusi. In provincia di Siracusa, nel lungo tratto di costa tra il faro Massoliveri e l’Arenella, nella zona del Plemmirio, i cancelli che impediscono l’accesso al mare sono aumentati del 50 per cento in un anno. Due di questi cancelli sono stati eliminati il 14 luglio grazie a un intervento della Procura.
Stesso discorso, fa notare Realacci, per gli stabilimenti balneari. Nonostante la Finanziaria del 2007 abbia stabilito che “è fatto obbligo ai titolari di concessioni di consentire il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l’area compresa nella concessione, anche al fine della balneazione”, in molte regioni la spiaggia pubblica è diventata ormai un lontano ricordo: tra ombrelloni, lettini, chioschi e spogliatoi, i gestori dei lidi stanno privatizzando il mare.
Sono oltre 5 mila, gli stabilimenti balneari disseminati lungo il perimetro dello stivale dal Friuli Venezia Giulia alla Liguria, isole comprese. Dati che vengono confermati dal dossier sulle spiagge in concessione del litorale romano presentato pochi giorni fa da Legambiente: solo 10 stabilimenti su 53 lasciano libero accesso al litorale. Se proviamo a estendere questo dato ai 7.375 chilometri di litorale di cui dispone il nostro paese, scopriamo che esiste una tassa occulta sul mare, una tassa tollerata nonostante le indicazioni precise che vengono dalla magistratura.
Secondo il Manuale di autodifesa dei bagnanti, pubblicato dai Verdi, la rinuncia al diritto collettivo avviene a tutto vantaggi di pochi: il gestore di 10 mila metri quadrati di arenile paga in media 850 euro al mese. Nel 2005, a fronte di un fatturato di quasi 2 miliardi di euro, i gestori delle spiagge hanno pagato allo Stato poco più di 40 milioni di euro. I gestori sostengono che queste cifre sono adeguate perché organizzare uno stabilimento balneare comporta un lavoro lungo e faticoso. Resta il fatto che si tratta di un piccolo tributo versato allo Stato per un’occupazione di spazio significativa.
Ecco alcuni dei numeri contenuti nel rapporto della Legambiente. In Liguria su 135 chilometri di spiagge solo 19 sono liberi. In Emilia Romagna 80 chilometri su 104 sono occupati da bagni privati. Nel Lazio, in Abruzzo, in Calabria, in Basilicata, in Toscana metà della spiaggia è occupata da lettini e ombrelloni. Invece in Campania ci sono 130 chilometri di spiagge con libero accesso a fronte di 80 chilometri di spiagge con stabilimenti e in Puglia le spiagge libere arrivano al 75 per cento. In Sicilia e Sardegna le spiagge senza dazi sono quasi ovunque la norma (con qualche eccezione come Mondello dove si fatica a trovare qualche centimetro libero di sabbia).
Fonte: La Repubblica