Troppi pesticidi nell’acqua
ROMA – Non bisogna avere necessariamente la sfortuna di Emma Marcegaglia per finire avvelenati bevendo un bicchiere d’acqua. Il 36,6% dei campioni d’acqua analizzati dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del ministero (ex Apat) è risultato infatti contaminato da pesticidi in quantità superiore ai limiti di legge. Il dato emerge dal dossier “Residui di prodotti fitosanitari nelle acque-Rapporto annuale, dati 2006” presentato oggi alla stampa.
Uno studio che secondo i curatori “conferma e rende più evidente uno stato di contaminazione già rilevato negli anni precedenti”. Complessivamente i diversi pesticidi emersi dalle analisi di laboratorio sono stati 131. Per alcune sostanze, l’inquinamento è molto diffuso e interessa sia le acque superficiali, sia quelle sotterranee di diverse regioni, tanto da richiedere, secondo l’Isprat, “la necessità di interventi di mitigazione dell’impatto”.
In Italia, secondo il dossier, si impiegano circa 300 tipi di sostanze diverse, per un quantitativo complessivo di circa 150.000 tonnellate all’anno. I dati relativi al 2006 mostrano una contaminazione diffusa nelle acque superficiali, dove è stata riscontrata nel 57,3% dei 1.123 punti di monitoraggio, nel 36,6% dei casi con concentrazioni superiori ai limiti previsti dalla legge per le acque potabili. Nelle acque sotterranee, invece, sono risultati contaminati a diverso grado il 31,5% dei 2.280 punti totali di rilevamento, con il superamento dei limiti di potabilità nel 10,3% dei casi.
Nel 2006, ricorda l’Istituto, sono 18 le regioni che hanno trasmesso i dati al min istero per essere elaborati. Complessivamente sono stati monitorati 3.403 punti, per un totale di 11.703 campioni e 439.305, “con un buon incremento, rispetto agli anni precedenti, della copertura territoriale e della significatività delle indagini” (per il 2005, ad esempio, le misure erano 282.774).
Le sostanze più comunemente rinvenute sono gli erbicidi, fatto spiegabile sia con la loro modalità di utilizzo, che può avvenire direttamente al suolo, sia con il periodo dei trattamenti, in genere concomitante con le precipitazioni più intense che, attraverso il ruscellamento e l’infiltrazione, ne determinano un trasporto più rapido nei corpi idrici superficiali e sotterranei.
Tra le contaminazioni più diffuse, secondo l’Ispra, “vi è quella dovuta alla terbutilazina, utilizzata in particolare nella coltura del mais e del sorgo. La contaminazione è diffusa in tutta l’area Padano-Veneta ed evidenziata anche in alcune regioni del centro-sud: è stata trovata nel 51,0% dei punti di campionamento delle acque superficiali e nel 15,8% di quelli delle acque sotterranee indagate”.
Da segnalare ancora “la presenza diffusa di atrazina, sostanza ormai da lungo tempo fuori commercio”. “Senza poter escludere – rileva ancora l’Ispra – casi di uso illegale, i dati e le valutazioni effettuate dimostrano che quello misurato è essenzialmente il residuo di una contaminazione storica, dovuta al forte utilizzo della sostanza nel passato”.