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Nel solco della tradizione

Posted in Letture by admin on 10 Febbraio 2009

Era una bella atmosfera quella che si respirava al Bazar di Natale svoltosi lo scorso 13 e 14 dicembre a Palazzo Grimaldi, nell’ambito del Progetto “Nel solco della tradizione, le feste a Modica tra memoria e futuro”, progetto che ha avuto ed ha per protagonisti molte associazioni educative o solidaristiche, varie parrocchie e, soprattutto, le scuole della città (tutte quelle di primo grado con un vasto, intelligente e creativo coinvolgimento, ma non solo: c’era anche il Corso “Tima” del Verga che fa acquisire competenze sulla lavorazione del legno e, per le prossime iniziative che si svolgeranno a Carnevale, è già coinvolto il Liceo Artistico e anche altri potrebbero coinvolgersi). I bei saloni del Palazzo Grimaldi erano pieni di gente che si incontrava e che gioiva con semplicità e affabilità. Disposti con grande cura e arte da mani attente e gratuite, c’erano tanti manufatti (cinquemila circa); e dietro ogni manufatto c’erano stati genitori e nonni che si erano messi con i bambini a lavorare il legno o a costruire bambole di stoffa, insegnanti che avevano attivato laboratori,  scuole che avevano presentato i loro lavori prima di portarli a Palazzo Grimaldi in momenti di festa aperti ai quartieri e alle famiglie.

«È avvenuto – ha sottolineato il Sindaco Antonello Buscema intervistato su RadioUno da un’entusiasta Enrica Bonaccorti – un fatto bellissimo: il giocattolo non come un fatto meccanico, commerciale, ma un giocattolo vivo, caldo, come un prodotto in cui c’è l’esperienza degli anziani e dei genitori e il lavoro dei bambini». Ricordando quindi che Modica «è patrimonio dell’Unesco, ma oltre ad avere un patrimonio architettonico e monumentale importante legato al Barocco, ha anche delle tradizioni culturali di grande rilievo, rispetto alle quali l’Amministrazione comunale ha voluto fare un’azione di recupero partendo dalle feste (religiose e non) del calendario, per trasmettere questi valori, questo patrimonio culturale alle n uove generazioni». Non è mancata la solidarietà pensata con intelligenza e cercando un respiro più ampio: il ricavato del Bazar, infatti, andrà per un progetto della Caritas Italiana a favore dei bambini-soldato del Congo. Ad una prima verifica appare chiaro che è emerso un patrimonio educativo da non disperdere ed un modo di fare festa sempre più da focalizzare.

Soprattutto, però, è emerso un amore per la città fatto di parole e di disponibilità costruttive in cui si sono incontrati e continuano ad incontrarsi soggetti diversi uniti da una lealtà e da una simpatia di fondo, necessarie per sconfiggere qualunquismo, opportunismo, indifferenza, arroganza e prepotenza. Tra le forme dell’indifferenza non si può fare a meno di notare la scarsa informazione sull’evento, che si inserisce in un problema più ampio sulla qualità della comunicazione nel nostro territorio e nel nostro Paese, sulle sue intenzionalità e sulle sue finalità (ed anche sull’effettiva libertà e sui pesanti condizioname nti, nocivi per una sostanziale democrazia che necessita di dibattito critico sì, ma leale e costruttivo). Dobbiamo aggiungere – facendo eco al messaggio del Natale – che le tenebre non vincono la luce: la voce si è diffusa, tanti non solo sono “venuti”, ma sono “ritornati” sull’esperienza ripensandola con gratitudine e con senso alto di responsabilità. Questo spinge a cogliere ciò che è fondamentale per il bene della città e della vita di tutti: a partire dall’esperienza del Progetto “Nel solco della tradizionale” questo fondo buono mi pare si possa individuare in quella gratuità lucida ma sempre costruttiva che ci fa sì denunciare il male, ma anche discernere evitando ogni forma di qualunquismo o di astio e amarezza che alla fine risultano sterili, per costruire anzitutto il bene. Sostenendosi a vicenda e sostenendo chi – cittadino, genitore, educatore, amministratore, lavoratore – dà tutto se stesso senza sottrarsi alla complessità delle situazioni e senza rifugiarsi nella comoda e astratta purezza delle “anime belle”, come chiamava Hegel quanti proclamano principi senza sporcarsi le mani e senza rendersi conto che non viviamo sulle nuvole. C’è da ritrovare – sulla scorta dei grandi messaggi filosofici, poetici e religiosi – l’equilibrio giusto tra gli opposti del “compromesso” e del “radicalismo” e il legame, nascosto ma reale, tra ciò che ognuno vive e testimonia come valore e l’influenza che questo può avere sulla vita di una città.

«Sulla sua anima» – direbbe Giorgio La Pira. «Le città infatti – scriveva il Sindaco di Firenze – hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo; hanno un loro volto; hanno, per così dire, una loro anima ed un loro destino. Non sono cumuli occasionali di pietra: sono misteriose abitazioni di uomini e più ancora, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio». A questo livello va fatto il lavoro più prezioso anche se nascosto; questa consapevolezza dobbiamo chiedere a tutti – amministratori e cittadini – come la prima cosa necessaria: significativamente il Bazar è stato accompagnato dalla lettura del “Piccolo principe” che ci ricorda come «l’essenziale è invisibile agli occhi ma non al cuore». E forse può essere utile quanto, in terra vicina ed anche più difficile della nostra, veniva detto nella festa dell’Immacolata da Mons. Franco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento: «C’è tanta gente che oggi sporca il mondo, dalla liturgia che celebra Maria come incarnazione della bellezza divina e umana riceviamo invece l’invito a ungerlo di bellezza. Ungere il mondo di bellezza significa caricarlo di amore.

Ma ciò può essere fatto solo da chi ha un cuore grande. Solo da cuori grandi nascono grandi azioni. Bisogna amarla e volerla la bellezza: essa porta pace, festa, giustizia, ordine, speranza, rispetto, mette gioia nel cuore, porta amore, dà coraggio, gusto per la vita e fa sognare il futuro. Essa manca dove è assente la gioia di vivere, dove c’è mediocrità, arrivismo, dove è presente il tr ionfo dei peggiori, dove si vive in modo vuoto e abitudinario». Ungere il mondo con la bellezza diventa un compito che Mons. Montenegro esprime in termini credenti (chiarendo anche una precisa forma di cristianesimo, quella fedele al vangelo) ma che tutti possono cogliere anche in traduzione “laica”, essendo chiaro e universale il messaggio: «La città è la tela affidataci dal Signore perché la tessiamo con i colori della bellezza che Lui ha affidato a ciascuno di noi. La città non è un museo ove si accolgono le reliquie, anche preziose, del passato; è una luce ed una bellezza destinata ad illuminare la storia di oggi e dell’avvenire.  Se è così, tocca soprattutto a noi credenti uscire allo scoperto. Non possiamo nasconderci nelle chiese per vivere la fede. La  fede va vissuta lungo le strade, dentro le nostre case, se vogliamo che non si sbiadisca e diventi insignificante. Essere cristiani non è solo guardare il cielo, ma è anche essere protagonisti della vita della città. Di essa non siamo sudditi, né spettatori passivi, ma siamo – e dobbiamo volerlo – cittadini consapevoli e attivi. Dobbiamo allontanare la paura – è un alibi colpevole e insostenibile – di sporcarci le mani. Non possiamo preferire il disinteresse e l’indifferenza; né vale come scusa il dire: io non posso farci niente o non c’è niente da fare. Dobbiamo dare e mantenere un’anima alla nostra città, per evitare che si avvilisca, e resti senza speranza. Prendiamo consapevolezza delle nostre risorse, valorizziamole, potenziamole, vivifichiamole per una città nuova e sempre più bella».

Maurilio Assenza

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